sabato 30 ottobre 2010

Konstantin Lopushanskij: un Tarkovskij infernale

di Marco Del Rosso


Konstantin Lopushansky inizia la sua carriera, come assistente di Tarkovskij per Stalker, e probabilmente questa collaborazione influenzerà profondamente tutta la sua, purtroppo scarna, produzione artistica, tanto che da molti viene considerato un vero e proprio discepolo del regista russo. Lo stile e le tematiche del cinema del maestro infatti, in particolar modo quelle di Stalker, sono rintracciabili in tutti e tre i film che compongono la sua filmografia, due dei quali ("Pisma myortvogo cheloveka-Letters from a dead man" e "Gadkie lebedi-The ugly swans") sono tratti proprio da due novelle dei fratelli Strugatsky, gli stessi che hanno sceneggiato il summenzionato film di Tarkovskij.

Se da un lato l'influenza del maestro scade di tanto in tanto in un manierismo un po' plateale a tratti forse addirittura irritante (il suo primo film "Letters from a dead man" è dominato da una fotografia costantemente virata verso un verde-grigiastro, e in generale nei suoi film ricorrono immagini di locali invasi dall'acqua con macerie galleggianti), o in una certa tendenza a un ingenuo didascalismo o a un tono fasitidiosamente predicatorio, tanto da far pensare quasi ad un goffo scimmiottamento del cinema del maestro, dall'altro, l'originalità e la sincerità della sua ispirazione e del suo immaginario, il forte impatto visionario delle sue immagini, fanno in parte dimenticare i difetti.

Lopushanskij infatti pare aver introiettato lo spirito di Tarkovskij, adattandolo e amalgamandolo però con uno stile e una poetica del tutto personali, che fanno sì che il suo cinema prenda una strada totalmente autonoma, discostandosi dal modello.

La principale differenza fra i due registi consiste nell'atmosfera angosciosa e malata, nella visione disperatamente pessimista e nichilista dell'uomo che permeano i film di Lopushanskij. Tutt'e tre le opere del regista sono ambientate in un futuro (anzi no, in un'epoca imprecisata che richiama palesemente il nostro presente) postatomico, in un mondo divenuto un' immensa discarica, fatto tutto di sterminati paesaggi di rifiuti e rottami che si perdono a vista d'occhio, vuoi in seguito a una catastrofe nucleare ("Letters from a dead man"), vuoi per lo scioglimento dei ghiacciai ("Posetitel muzeya-Visitor of a museum"), vuoi per misteriosi mutamenti climatici dovuti ad alterazioni dell'ecosistema ("Gadkie lebedi").


L'ossessione del regista sembra essere principalmente una: la post-umanità. I suoi film prendono le mosse dalla desolata constatazione della morte preannunciata del genere umano, della fine del suo ciclo vitale, e dunque dall'inizio di ciò che dovrebbe essere il nuovo mondo, la nascita di una nuova umanità. Ma se ancora il finale di "Letters from a dead man" ( nel quale viene estrapolato dal manifesto Russell-Einstein l'appello a "ricordare la nostra umanità, e a dimenticare tutto il resto") lascia intravedere un barlume di speranza, con lo scienziato protagonista che si prende cura, come una sorta di nuovo Messia (figura ricorrente i tutti e tre i film) di un gruppo di bambini abbandonati, nei due film successivi, i discendenti, i successori dell'uomo, sono delle creature la cui unica prerogativa è la consapevolezza del vuoto, del Nulla alla base della condizione umana, della tragicità insita nel suo essere.


Il più pessimista è il secondo "Posetitel muzeya", sicuramente il migliore dei tre, film allucinato e allucinante con cui Lopushansky sfiora a mio avviso il capolavoro, l'unico tra l'altro ad essere ideato oltre che sceneggiato dal regista stesso (e ormai diventato un mio personalissimo super-cult). In un mondo ridotto a un'immensa discarica radioattiva illuminata da luci rossastre, confinati in una riserva in cui lavorano come operai vi sono i "degenerati", sorta di esseri sub-umani, di scarti, figli dell'umanità stessa, dediti a un culto demenziale basato su assurde credenze teorizzate in scritti custoditi dai "sacerdoti", una religione che prevede una sola preghiera, consistente nel battere i pugni contro un muro implorando di essere "liberati" da tutto, e nella quale viene profetizzato l'arrivo di un Messia "monco" (che arriverà), privo di poteri sovrumani, in grado soltanto di caricare su di sè il dolore dei supplici e mandato a intercedere presso il Padre per esaudire la loro richiesta, ma dal quale non riceverà nessuna risposta e che finirà per vagare attraverso montagne di spazzatura, urlando a un Dio che si nega tutto il dolore sordo dell'uomo.


Qualcosa di simile vale per i "Gadkie lebedi" (i "brutti cigni") del film omonimo, ragazzini dotati di un'intelligenza superiore, iniziatori di una nuova razza probabilmente destinata a soppiantare la nostra, ma la cui consapevolezza superiore li porta soltanto alla coscienza del Nulla di cui è fatto l'uomo ("...Qui, nel punto della maggiore indefinibilità, della non garanzia e della non confermazione dell'esistenza umana per la prima volta appare la nota chiarezza, s'illumina la notte del mondo. Il senso terribilmente reale della nostra esistenza non nel mondo, ma da qualche parte tra i mondi, non è nella delimitata realtà, ma è nello spostamento e formazione, non è nell'assestamento casalingo, ma è nell'insensato pellegrinaggio...è stato possibile solo rovesciare il velo di Maya e osservare tutto dalla parte opposta, non da quella parte che ti culla e ti dona un senso di calma, ma dalla parte del Niente, che rivela la nostra presenza vitale come un avanzamento del Niente."), tematica affascinante ma che purtroppo non viene sviluppata del tutto lasciando il film un po' irrisolto.


Lopushanskij è forse l'erede più originale di Tarkovskij (almeno fra i pochi pervenuti), non il più grande (un Sokurov gli è probabilmente superiore), il suo cinema è imperfetto ma viscerale, le sue immagini veicolano un'angoscia sincera e nascono da un'urgenza espressiva che a tratti diventa quasi esigenza didattica.


Sequenza tratta da Posetitel Muzeya (1989) di Konstantin Lopushansky:



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